martedì 22 novembre 2016

CAPODANNO DA MIA MADRE di ALEJANDRO PALOMAS


Capita di inciampare su un autore come in spiaggia capita di farlo sul piede di uno sconosciuto. Il sole ti abbaglia e nonostante tutto, una copertina e un titolo restano dentro la tua testa e non ti mollano più. Uno sgambetto del destino. 
Mi è capitato così con Alejandro Palomas. 
In verità, il romanzo dell'inciampo non è quello di cui mi accingo a parlare, ma il suo ultimo libro, sempre edito da Neri Pozza e sempre tradotto da un ottimo Alessio Arena (anche lui scrittore e musicista), intitolato UN FIGLIO. 


In quel caso, a colpirmi, fu la sinossi del romanzo. Raccontava la storia di Guille, un ragazzino molto particolare che a modo suo cerca di sopravvivere alla scomparsa della madre con l'aiuto maldestro di suo padre. 
Un ragazzino che alla domanda cosa vuoi fare da grande, risponde all'insegnate Mary Poppins, la sua eroina preferita, suscitando nella donna qualche preoccupazione sulla serenità dell'alunno, tanto da convocare il genitore a scuola per parlare della diversità del figlio e capire cosa c'è non funzioni nella sua vita.
Un romanzo delicatissimo dove si narra il rapporto tra un padre e un figlio e si esplorano le bugie dell'anima, quelle che si dicono perché non si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà. Il romanzo mi è piaciuto così tanto che sono andato subito a cercare qualcos'altro dello stesso autore. E così sono inciampato nella copertina, per me bellissima, di CAPODANNO A CASA DI MIA MADRE. 
Lo compro a scatola chiusa, fidandomi di quell'inciampo casuale sul piede di uno scrittore sconosciuto, e mi ritrovo subito a casa. 
Il romanzo, infatti, non solo ha ribadito l'abilità dello scrittore, ma mi ha permesso di esplorare ancora di più il suo mondo letterario. 
Qui c'è un io narrante, ovvero Fer, che vive con un alano di nome Max - un regalo di addio del suo compagno per rendere quel distacco improvviso meno doloroso - e tutta la storia si svolge la notte di capodanno a casa di sua madre Amalia, donna energica che ha il grande dono di reinventarsi ogni volta, dono che sembra mancare ai figli (Fer, Silvia, la figlia maggiore ed Emma, la piccola di casa) tutti incapaci di superare uno stop della vita (Silvia ha perso un bambino ed Emma il grande amore della sua vita). Lei, Amalia, abbandonata dal marito, conosce bene i suoi figli e cerca a modo suo di dire la cosa giusta nel momento giusto, sommergendo le persone che ama di parole, tantissime parole, e sorprese. Le assenze, spesso, determinano le nostre esistenze più delle presenze e intorno a quella tavola, dove siederà anche l'eccentrico zio Eduardo, si tireranno le somme di tante vite rimaste in sospeso, con un filo di ironia che lega i destini dei personaggi e una piccola luce di speranza che sembra splendere alla fine di una notte piena di colpi di scena, fuochi d'artificio, brindisi, rivelazioni e silenzi. 
Romanzo di una delicatezza e di una potenza uniche. In molti passaggi ho ritrovato le dinamiche della mia famiglia e sono sicuro che ognuno di voi può trovare qualcosa di suo tra le pagine di questo romanzo che scava in profondità tra i malesseri e le gioie dell'esistenza. La "sedia delle assenze" è una trovata della madre per fare pace con gli addii. Mettere una sedia a tavola, con tanto di piatto, tovagliolo, bicchieri e posate, per sentire vicine tutte le persone che sono andate via per un motivo o per un altro. E questo Natale, nella mia famiglia, io lo so già, la sedia delle assenze sarà piuttosto affollata e "ricca di vita".


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