giovedì 24 novembre 2016

NON TORNA MAI NESSUNO


Perché io non sogno i morti? 
Perché? 
Ascolto i racconti di mie sorelle e me lo domando da giorni: perché non sogno nonna e zia? 
Perché mi ostino a non elaborare il lutto nel mondo onirico? 
O perché - per chi ci crede - loro non vengono a trovarmi nel regno dove tutto è possibile? 
Sono domande stupide, vuote, lo so. 
Una fila di barattoli bucherellati da prendere a colpi con un bastone di legno. Producono un vago clangore metallico. Un ding che risuona ironico e provocatorio nel silenzio della testa. 
Mi sento in colpa. Perché non succede; perché non ci riesco, perché, forse, non ho memoria. 
Una mia collega ricorda tutti i sogni nei minimi particolari. Io no. Io non ci riesco mai. A me resta solo una sensazione, un sapore, una vaga idea o un'immagine confusa di luoghi e situazioni. 
Mi fa male pensare di non avere più tempo per riparare tutte le cose che non funzionano e che ancora oggi continuano a non funzionare. 
Penso alla morte e la vedo bella sorridente intorno a me. 
Chiede molto, pretende sacrifici importanti. 
Vorrei credere per immaginarmi un "dopo" splendente e luminoso. 
Vorrei credere, ma proprio non ci riesco. 
Mi vedo vagare come uno zombie senza meta e maledico tutto quello che non ho avuto il coraggio di accogliere tra le mie braccia. 
Codardo e ottuso. 
Ho pregato - sì, l'ho fatto - per ricevere un messaggio che mi aiutasse a vivere. Se c'è un dopo devi tornare. Devi. Solo per un attimo. Solo per un lampo brevissimo.
Non è mai tornato nessuno.
Nessuno.

Neppure nei sogni.
Mai.

martedì 22 novembre 2016

CAPODANNO DA MIA MADRE di ALEJANDRO PALOMAS


Capita di inciampare su un autore come in spiaggia capita di farlo sul piede di uno sconosciuto. Il sole ti abbaglia e nonostante tutto, una copertina e un titolo restano dentro la tua testa e non ti mollano più. Uno sgambetto del destino. 
Mi è capitato così con Alejandro Palomas. 
In verità, il romanzo dell'inciampo non è quello di cui mi accingo a parlare, ma il suo ultimo libro, sempre edito da Neri Pozza e sempre tradotto da un ottimo Alessio Arena (anche lui scrittore e musicista), intitolato UN FIGLIO. 


In quel caso, a colpirmi, fu la sinossi del romanzo. Raccontava la storia di Guille, un ragazzino molto particolare che a modo suo cerca di sopravvivere alla scomparsa della madre con l'aiuto maldestro di suo padre. 
Un ragazzino che alla domanda cosa vuoi fare da grande, risponde all'insegnate Mary Poppins, la sua eroina preferita, suscitando nella donna qualche preoccupazione sulla serenità dell'alunno, tanto da convocare il genitore a scuola per parlare della diversità del figlio e capire cosa c'è non funzioni nella sua vita.
Un romanzo delicatissimo dove si narra il rapporto tra un padre e un figlio e si esplorano le bugie dell'anima, quelle che si dicono perché non si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà. Il romanzo mi è piaciuto così tanto che sono andato subito a cercare qualcos'altro dello stesso autore. E così sono inciampato nella copertina, per me bellissima, di CAPODANNO A CASA DI MIA MADRE. 
Lo compro a scatola chiusa, fidandomi di quell'inciampo casuale sul piede di uno scrittore sconosciuto, e mi ritrovo subito a casa. 
Il romanzo, infatti, non solo ha ribadito l'abilità dello scrittore, ma mi ha permesso di esplorare ancora di più il suo mondo letterario. 
Qui c'è un io narrante, ovvero Fer, che vive con un alano di nome Max - un regalo di addio del suo compagno per rendere quel distacco improvviso meno doloroso - e tutta la storia si svolge la notte di capodanno a casa di sua madre Amalia, donna energica che ha il grande dono di reinventarsi ogni volta, dono che sembra mancare ai figli (Fer, Silvia, la figlia maggiore ed Emma, la piccola di casa) tutti incapaci di superare uno stop della vita (Silvia ha perso un bambino ed Emma il grande amore della sua vita). Lei, Amalia, abbandonata dal marito, conosce bene i suoi figli e cerca a modo suo di dire la cosa giusta nel momento giusto, sommergendo le persone che ama di parole, tantissime parole, e sorprese. Le assenze, spesso, determinano le nostre esistenze più delle presenze e intorno a quella tavola, dove siederà anche l'eccentrico zio Eduardo, si tireranno le somme di tante vite rimaste in sospeso, con un filo di ironia che lega i destini dei personaggi e una piccola luce di speranza che sembra splendere alla fine di una notte piena di colpi di scena, fuochi d'artificio, brindisi, rivelazioni e silenzi. 
Romanzo di una delicatezza e di una potenza uniche. In molti passaggi ho ritrovato le dinamiche della mia famiglia e sono sicuro che ognuno di voi può trovare qualcosa di suo tra le pagine di questo romanzo che scava in profondità tra i malesseri e le gioie dell'esistenza. La "sedia delle assenze" è una trovata della madre per fare pace con gli addii. Mettere una sedia a tavola, con tanto di piatto, tovagliolo, bicchieri e posate, per sentire vicine tutte le persone che sono andate via per un motivo o per un altro. E questo Natale, nella mia famiglia, io lo so già, la sedia delle assenze sarà piuttosto affollata e "ricca di vita".


lunedì 21 novembre 2016

IL TRAMONTO DEL BOLLINO




Questa mattina mi sono recato nella solita edicola dove compro i fumetti e i giornali. Mentre aspetto il mio turno per pagare quello che ho preso - una signora è indecisa su quale rivista di uncinetto comprare - alzo la testa e sopra lo scaffale dei fumetti, nella parte alta del chiosco, noto i DVD porno. 
In realtà sapevo che si trovavano disposti negli scomparti più alti, ma non mi ero mai soffermato a osservare le cover delle confezioni. Noto un particolare strano e penso di aver visto male io, ingannato, semmai, dalle luci al neon. Mi sposto ancora più di lato - mentre la signora visiona altre riviste di uncinetto con l'edicolante - per vedere meglio e scopro che i miei occhi non hanno visto affatto male: davanti a me, ben visibili, ci sono dei DVD porno dove nulla è lasciato all'immaginazione. La "cosa strana" era proprio quello che sembrava, ovvero una cappella turgida tenuta bella stretta dalla mano di una ragazza che si accinge a fare quello che potete immaginare. Resto per un attimo interdetto: ma è possibile che un'immagine così esplicita sia esposta sopra i fumetti dove tutti, bambini compresi, possono vederla? 
Osservo meglio e scopro che anche altre cover mostrano tutto quello che c'è da mostrare: sesso maschile eretto e sesso femminile bello esposto in pose molto esplicite. Vorrei fotografare l'esposizione, ma alla fine lascio perdere. 
Esco dal chiosco sorpreso, perché mi ricordo benissimo quando gestivo io un'edicola a Sassari - sono passati ormai più di vent'anni - e ricordo le VHS porno che mi arrivavano (il DVD non era ancora così diffuso). La ditta mi forniva dei bollini adesivi per coprire le parti spinte nelle cover delle confezioni e quando una cover era troppo spinta o allusiva - anche con gli adesivi - evitavo di esporla. Anche così, non mancavano i clienti che si lamentavano per la vetrina dedicata al porno. Ovviamente non ho mai rinunciato a certi prodotti; garantivano lauti guadagni in un periodo dove internet non era ancora così diffuso e invasivo e certe trasgressioni le venivi a cercare proprio nell'edicola più lontana da casa tua. E sì, perché questa era una regola fissa: i miei clienti non compravano mai porno (o non lo compravano da me perché si vergognavano e preferivano cercare in altri punti vendita dove nessuno sapeva nulla di loro) e io vendevo Cicciolina e Moana Pozzi a clienti di passaggio che spesso venivano solo per quel motivo: garantirsi un bel carico di pornazzi. 
Il momento preferito era la mattina presto tra il sabato notte e la domenica mattina. 
Io aprivo il chiosco alle 5 e mezza del mattino e a quell'ora giravano molti disperati del sabato sera, imbottiti di alcol e con i timpani ancora sincopati dalle casse di qualche discoteca cittadina.
Ora il mondo del porno è completamente cambiato e tutti possiamo avere tutto - e gratis - con un semplice click. Eppure c'è ancora qualcuno che compra i pornazzi in edicola e siamo andati così avanti che anche i bollini censori sono scomparsi del tutto. La forza del progresso, boys&girls!


Foto di Erwin Olag

sabato 12 novembre 2016

ESULI ETERNI


Thilde Jensen è una fotografa danese la cui carriera emergente è stata messa a dura prova quando un grave attacco di Sensibilità Chimica Multipla (MCS) l'ha costretta a rivedere tutta la sua vita e le sue abitudini, spingendola a fuggire dalla vita urbana per rifugiarsi in un campeggio in mezzo ai boschi. Per interagire con la società moderna è costretta a indossare un respiratore. Nelle Canarie, le sue foto, documentano la vita di altre persone affette dalla sua stessa malattia (o allergia estrema) che vivono come dei rifugiati in un mondo dominato dalla chimica. Un mondo da dimenticare, dove non potranno più tornare. Esuli eterni.
















giovedì 10 novembre 2016

IL SORRISO DEL GIROVITA


Oggi ho fatto quello che odio di più fare e che faccio quando sono proprio costretto dagli eventi o con l'acqua alla gola (vedi pantaloni che non entrano più nonostante ti cospargi le gambe con diversi barattoli di vasellina!): sono uscito con un'amica compiacente - poveretta! - per cercare capi d'abbigliamento che fascino il mio delizioso corpicino. Esperienza sempre sconvolgente che mette in seria crisi la mia autostima già al collasso. Prima tappa: un negozio dove spero di trovare dei pantaloni. Ne provo sette vicini al mio gusto. Uno solo mi entra. Eh, sì, diversamente dal solito, qui, le misure grandi (50) non esistono o sono casi rari. Dobbiamo essere tutti slim o siamo irrimediabilmente fottuti. Prendo l'unico pantalone che mi entra - tra l'altro con un colore che non mi convince nulla e mi ricorda la cacca del cane del vicino quando ha mangiato qualcosa di pesante - per giustificare la lotta combattuta nel loculo-spogliatoio dove non sai dove cacchio appendere le cose e ti imbarazza pensare che la gente, di te, vede solo i piedi e le calze mentre ti bisticci con te stesso. Le calze me le metto sempre nuove quando vado a comprare pantaloni perché temo il buco sull'alluce e le risatine di scherno.
Seconda tappa: un grande magazzino per cercare delle camicie e un giubbotto. Allora, il giubbotto non sono riuscito a trovarlo perché non c'era mai una taglia giusta che mi cadesse in modo decente, le camicie, invece, le ho trovate. Almeno quelle. Tutte large e tutte comode. Effetto boscaiolo. Ololaiuuuuu...
In compenso ho fatto incetta di mutande e calze. Immensa soddisfazione rinnovare l'intimo con robe colorate e sceme per dare un tocco divertente ai tuoi spogliarelli notturni (non si sa mai... potrei venire messo sotto da un camion e non è il caso di farsi trovare non "a posto" sotto i vestiti. Me lo dice sempre la mamma!). E per finire mi sono regalato anche una sciarpa morbidissima che fa molto fashion e ti fa sentire molto alla moda, anche senza la camicia slim e il pantalone elastico a super-sigaretta che ti lascia scoperte le caviglie. .
Per finire, la mia amica molto saggia, mi ha portato in un negozio bio per farmi comprare subitissimo una tisana drenante e una tisana sgonfiante.
"Vedrai come ti sorriderà il giro-vita!", mi ha detto tutta felice.
Si accettano scommesse. :/

lunedì 7 novembre 2016

DOPO CINQUECENTO ANNI di VALENTINA CAPALDI


Molti pensano che scrivere fantasy sia semplice. 
Lo pensano gli aspiranti scrittori che sottovalutano un genere molto complesso e articolato. E lo pensano molti lettori che snobbano certe storie classificandole come una massa di cretinate senza senso. 
La magia dovrebbe risolvere tutti i problemi e gli snodi della trama. La fantasia cavalcare libera tra le pagine senza preoccuparsi troppo della coerenza e della credibilità della storia. Niente di più sbagliato. Come insegna il maestro Terry Brooks, per usare la magia si paga sempre un prezzo, a volte altissimo. Si può perdere la vita, la ragione, le forze, il senso del bene. Non è una scelta indolore. Mai. E aggiungo che rendere credibile una storia dove appaiono fate, gnomi o draghi, è più ben più ostico e complicato che parlare di drammi famigliari, adolescenziali o matrimoniali. Devi creare un nuovo mondo, una nuova realtà, e la devi creare così bene e in modo così dettagliato da rendere il tutto concreto e logico, sebbene il tutto si analizzi sotto un'ottica diversa.
Io personalmente, pur adorando Terry Brooks, amo leggere un po' meno il fantasy classico e mi diverto di più con l'Urban-fantasy, il Dark-fantasy, il Paranormal e, com'è accaduto in questo caso, con un fantasy storico che rivendica una minuziosa documentazione, spaziando in 500 anni di storia. 
Si parte nel 1508 dall'Inghilterra, e si arriva nel 2008 in Germania. Un viaggio lunghissimo che serve ai due protagonisti del romanzo - un demone privato dei suoi poteri dalla maledizione di una strega e condannato a vivere per l'eternità dentro il corpo di un uomo (Rakgat) e un ragazzo, tramutato per mano di un altro sortilegio, in un nano gobbo e deforme (Tighe) - a scovare il Guardiano che custodisce la chiave che apre la porta degli inferi. Porta che permetterebbe a Rakgat di tornare in possesso del suo vecchio corpo da demone e dei suoi poteri, e a Tighe di liberarsi una volta per tutte da quella prigionia fatta di carne e sofferenza. 

Un viaggio che li porterà molto lontano (Francia, Portogallo, America) e li farà incontrare e scontrare con mondi nuovi (bellissima la parte dove finiscono nel bel mezzo di un sacrificio rituale dell'impero Atzeco e quella dove Tighe cerca di convincere il demone della necessità di portare la civilizzazione e la parola di Dio tra quei selvaggi dalle strane abitudini) e inattese svolte del destino.

Un romanzo asciutto, per nulla ridondante o barocco, nonostante l'ambientazione e la trama che avrebbero potuto spingere l'autore a eccedere con i dialoghi, le descrizioni o con petulanti derive nozionistiche che nulla portano di buono al ritmo della storia. Un romanzo affilato come una lama. Una lama che taglia, ferisce e raramente consola. L'ultima parte, quella moderna, è quella più breve e, a dirla tutta, avrei sondato ancora un po' di più le atmosfere e i cambiamenti dei personaggi. Però, a pensarci bene, se un libro ti lascia un po' d'amaro in bocca perché è finito troppo velocemente, l'ultimo boccone lo mandi comunque giù con un leggero languorino ancora da soddisfare. E questa fame non del tutto placata è, per me, il più bel regalo che ti può lasciare una storia.