venerdì 31 gennaio 2014

IO HO FINITO


La notte del 28 gennaio, un ragazzo di 23 anni, ha deciso di farla finita. 
Si è lanciato nel vuoto dal ponte di Calabona e il cadavere è stato ritrovato il mattino dopo da un pescatore.
Ha scelto una notte fredda, battuta da un vento crudele, una notte perfetta per cercare il calore di una mano amica o, forse, sciagurata per chi ha pensieri neri che invadono da troppo tempo gli spazi liberi  della mente.

Lo conoscevo di vista, nulla di più, perché studiava in una scuola vicino a un ristorante dove ho lavorato per 5 anni. Ne ho visti tanti di quei ragazzi... li ho visti passare con i loro zaini pieni e i loro giubbotti pesanti, e li ho visti crescere e cambiare con il passare degli anni. Abbozzi di uomini e donne, ancora insicuri, fragili, indecisi, che si definivano, si mettevano a fuoco con il lento passare delle stagioni. 
Ho saputo la notizia da un amico insegnante che invece lo conosceva bene quel ragazzo: era stato uno dei suoi alunni qualche anno prima. 
La porta mi si è aperta grazi a Facebook, come sempre; il modo più veloce per spiare le vite degli altri e capire qualcosa di cosa amano, cosa ascoltano, cosa pensano. 

L'ultimo messaggio scritto dal suicida è stato un laconico: Io ho finito.
Non lo ha scritto neanche in maiuscolo... come a urlarlo con prepotenza al mondo. 
No, ha preferito sussurrarlo, senza enfasi o clamore. 
Ho notato che c'era solo un commento di qualcuno che scriveva dopo aver saputo della tragedia. Nessun commento prima, nemmeno un "mi piace". Scorro i post pubblicati lo stesso giorno della morte e quelli scritti nei giorni precedenti; leggo frasi misteriose, poetiche, malinconiche, a tratti disperate, spesso sconsolate. 
Anche qui non trovo "mi piace" e commenti, e se ci sono sono rari e mai centrati... mai del tutto sintonizzati con quello sfogo, quella confidenza, quella sottile richiesta di aiuto, di attenzione. 

Perché chi decide di farla finita lo scrive su Facebook? 
Lo fa perché è un gesto automatico? Un modo per dire al mondo: "Ehi, mi sentite? Io ci sono... ehi?". 
Lo fa per avere un'ultima occasione di appartenenza, di condivisione estrema? 
I commenti, increduli, disperati, attoniti, di amici e conoscenti, sono arrivati solo dopo... DOPO la fine.
Ho letto il messaggio di un ragazzo che non conosceva personalmente il suicida e chiedeva con tono polemico dove si trovassero gli amici quando il ragazzo chiedeva chiaramente aiuto con le cose strane che scriveva. 
Gli ha risposto una ragazza per dirgli che non si poteva giudicare se non si conoscevano i fatti... LUI è sempre stato un tipo chiuso, non parlava molto di sé e sapeva nascondere il suo malessere... rideva, scherzava sempre. 
Già, rideva. Il solito commento di chi dice: Era un ragazzo così solare!
Siamo tutti solari DOPO. Sempre dopo.
Mai letto da nessuna parte di qualcuno che viene definito dagli amici "lunare".
Ci può stare il "lunatico"... ma mai "lunare".
Usiamo le parole a caso, con poca attenzione e fingiamo di credere che la faccia mostrata al mondo, sia la faccia reale. Ma noi lo sappiamo che non è così. Lo sappiamo perché siamo i primi a rispondere "Bene, grazie" quando ci chiedono come stiamo. E lo diciamo anche quando non stiamo affatto bene... quando siamo tristi, disperati, soli. 
Rispondiamo "Bene, grazie" per comodità... per non perdere tempo... per non dare spiegazioni e, sottilmente, spacciamo un'idea di noi che non corrisponde alla realtà.
Ho provato a spezzare questo rituale scontato e gli effetti sono stati interessanti; ho risposto semplicemente la verità vera e ho guardato in faccia chi mi chiedeva come stavo: non si aspettavano la sincerità... sgranavano gli occhi, balbettavano parole e scuse e, a volte, superato quell'attimo di imbarazzo, si riusciva a parlare veramente di NOI.

Non lo so perché quel ragazzo che vedevo passare davanti al ristorante ha scelto di uccidersi.
Non lo so se era triste, allegro, confuso... non posso saperlo.
E non so neanche cosa avrei fatto io se avessi letto sulla bacheca di un amico: IO HO FINITO.
Conoscendomi avrei domandato: Finito cosa? Un libro? Una storia? Un progetto?
E mi chiedo perché a nessuno dei suoi amici sia la venuta la stessa invadente curiosità. Perché "invadere", a volte, è un modo di amare, di esserci, di dire parole piene e giuste.
Forse non sarebbe cambiato nulla. Forse. Io non lo so e non lo saprà mai nessuno.

Però io ci penso a questa cosa, ci penso che a volte, le domande, è meglio farle... e se le facciamo, se decidiamo di non aprire la bocca a vanvera e di farle, poi non dobbiamo temere le risposte.
Perché a volte, quelle risposte, sono VERE, e dobbiamo avere la forza e la voglia di ascoltarle e sorreggerle con il solo aiuto delle nostre spalle. 

Una triste sequenza.

venerdì 24 gennaio 2014

IL MUFFIN VIRTUALE


L' altro giorno mia sorella Grace mi scrive sulla chat di Facebook e mi riporta il messaggio di una certa Agostina.

"Hey, Grace. Ho vissuto per 6 anni nell'appartamento sopra a quel ragazzo nella tua foto profilo (ad Alghero) e per 6 anni ho sempre voluto portargli una torta per scusarmi del casino vario ed eventuale, e ringraziarlo per la pazienza! Un dolcetto virtuale da parte mia! Davvero piccolo il mondo... avrei voluto mandargli un muffin per ogni sedia strisciata o per ogni volta che ho acceso il seghetto per fare modelli a orari impensabili, ma sarebbe diventato un ciccione enorme!!!"

Grace allega al messaggio il link del profilo FB della sua nuova amica. 
Lo apro e la riconosco al volo. La ragazza studiava architettura e, penso per pagarsi gli studi, lavorava in un pub. Rientrava verso le 4 del mattino e mi svegliava con i tacchetti delle scarpe che si muovevano per tutto l'appartamento. Non le ho mai detto nulla. Ho sempre sopportato con pazienza e ho cercato di capire le ragioni e i bisogni di una studentessa-lavoratrice. Delle volte ho pensato di dirle qualcosa quando la incrociavo sulle scale (molto di rado) o al market. Lei mi guardava un po' in soggezione (ora so perché) e non riuscivo mai a dirle nulla. 

A mia sorella ho risposto così: 
"Dille che, grazie alle notti insonni, ho scritto un romanzo!"
Grace: "Ti sei beccato un ADORABILE!"
Io: "E vai!"
Grace: "Ps. altro libro venduto!"
Io: "Sarà curiosa di leggere cosa ha prodotto il suo seghetto!"

P.S. - vorrei tranquillizzare Agostina... sono diventato un ciccione anche senza i suoi muffin e le sue torte virtuali. 

GENETICA!!!

P.S. 2 - se la mia vicina di casa avesse fatto davvero quello che pensava... be', sono sicuro che avrei inserito la scena nel romanzo. :-)

giovedì 23 gennaio 2014

MEGLIO LA MARMELLATA O LA NUTELLA?


Voi preferite la marmellata o la Nutella?
O siete così golosi da mangiarle tutte e due?

Carlo Giuseppe Gabardini dice la sua sull'argomento e lo dice in modo sublime e ironico. 
Ma lo dice. 

Buona colazione... ops... visione a tutti!


martedì 21 gennaio 2014

IO E TE... E TUTTO IL MONDO FUORI.


Ieri sono tornato nel carcere di Nuchis per il corso di scrittura creativa. 
Cielo nero, pioggia e freddo. E sotto quel cielo rabbioso la struttura del carcere sembra ancora più triste, asettica, grigia con le sue linee moderne e severe. 
Uno scatolone anonimo dietro un enorme cancello metallico che si apre e ci lascia entrare dopo aver dichiarato al citofono la nostra identità e il motivo perché siamo lì. Corriamo verso l'edificio sotto la pioggia e veniamo accolti da una guardia che non ci conosce e non conosciamo. Tutte le volte che succede, e ripetiamo il motivo che ci porta a essere lì in quel momento, ci guardano un po' straniti, come se non capissero bene cosa significhi la definizione: "scrittura creativa". 
La guardia verifica i nostri permessi e ci fornisce il cartellino giallo del volontario che ci permette di passare attraverso il metal-detector e, finalmente, entrare nel lungo corridoio che ci porterà, dopo un altro cortile e altre due porte blindate, al caseggiato dove si trova l'aula scolastica. I passi rimbombano nel corridoio e le voci si riverberano in modo strano sulle pareti. 
Prima di attraversare l'ennesimo cancello, ci fermiamo nella "hall" del secondo posto di guardia e ci prendiamo qualcosa dalla macchinetta automatica. 
Due bottigliette d'acqua, una naturale per me e una gasata per Giovanni, e poi qualcosa da mangiare, perché il distributore non fornisce resto e devi pur consumare i soldi che c'hai infilato. Giovanni preme il codice di un Bueno e poi quello che a lui sembra un cioccolato fondente. 
"Guarda... costa pochissimo!"
Preme altre due volte il codice e fa cadere altre due confezioni di cioccolato. Apro il cassetto, prendo la prima, e mentre sta digitando il codice per la terza volta tutto contento, guardo l'involucro e leggo: Caffé Espresso gusto Forte. 
"Giovà, guarda che sono cialde per la macchina del caffè... mica cioccolato!"
"Eh, come...?"
Guarda anche lui l'involucro e capisce che ho ragione.
E infatti, in un tavolino appoggiato al distributore, c'è una macchinetta per il caffè espresso, una scatola con bicchierini di plastica, zucchero - una busta aperta con un cucchiaino dentro - e palette. 
Una guardia ci spiega come funziona il marchingegno e ci indica i diversi pulsanti per averlo corto, lungo, lunghissimo.
Giovanni consuma la cialda che la guardia ha infilato nella macchina per la dimostrazione e io metto in tasca le altre due per quando finiremo la lezione e ci servirà qualcosa di caldo e forte.
Entriamo nel reparto dove si trova la chiesa, la palestra e la sala colloqui, e giungiamo nella zona dove, a destra, c'è un presidio sanitario, e alla sinistra, la biblioteca e le aule. 

Troviamo già in aula Massimiliano e Raffaele e in pochi minuti arrivano tutti gli altri. Riappare anche Daniele che non veniva da un bel po' di tempo. 
La presenza o l'assenza dei detenuti è regolata dalla vita complessa del carcere. Ci sono le visite mediche, le telefonate alle famiglie, le esigenze tecniche e burocratiche e noi, come surfisti un po' fuori forma, dobbiamo assecondare il moto delle onde per non cadere in acqua con una sonora e imbarazzante spanciata. 
Iniziamo la lezione. Massimiliano, una vera macchina da guerra, ha scritto un altro capitolo del romanzo. Inizia a leggerlo e, con mia grande sorpresa, mi rendo conto che la storia prende sempre di più una forma definita. 
Lui scrive in modo denso, ricco, a volte troppo barocco, ma ha un'idea chiara di dove vuole andare a parare. 
In più di un'occasione mi sono detto: "Ma perché non la scrivo io questa storia?" 
Questo pensiero mi ha fatto capire quanto mi stia coinvolgendo e appassionando tutto il progetto. 
I compagni di Massimiliano restano sempre un po' interdetti dopo la lettura del nuovo capitolo. Lui scrive più di tutti e ha una bella resa e una bella tenuta. Si parla, si discute e si cerca di focalizzare meglio i vari punti e i vari personaggi. 
Poi legge Pino il suo pezzo. Ecco, Pino scrive molto meno, ma ha una dote incredibile: la concretezza. Quello che scrive è sempre calibrato, misurato, mai ridondante o eccessivo. 
Dopo Pino intervengono tutti gli altri. Chi con un passaggio scritto, chi dicendo semplicemente la sua. Carmelo ci legge un punto di raccordo della storia e cerchiamo tutti insieme di vedere cosa si può inserire e cosa no. 
Il problema è che tutti lavorano per conto loro nelle loro celle e hanno un reale confronto tra di loro solo il lunedì, il giorno della lezione in aula. Per questo ci chiedono se è possibile ottenere dalla direzione la possibilità di un incontro autogestito, una volta a settimana, per assemblare le varie parti, renderle più omogenee e arrivare in classe con un testo più definito. 
Ecco, per me e Giovanni, vedere quanta passione ci stanno mettendo, è una piccola, grande vittoria. 
Qualcuno ci lascia prima della fine della lezione per andare a telefonare a casa (anche queste attività sono regolate da turni e orari precisi) e l'ultima parte dell'incontro viene dedicata a un po' di conversazione per scambiarci pensieri e opinioni. 
Capita proprio in questo momento, quando chiedo a Massimiliano com'è riuscito a far leggere le cose che ha scritto alla moglie - durante la lezione ci ha riferito il punto di vista della donna sul personaggio principale - che mi risponde: "Ho visto mia moglie per due volte e per tre ore di seguito."
"Avete avuto un incontro?"
"Sì, e le ho letto tutto quello che ho scritto fino a questo momento."
Incuriosito chiedo come avvengono gli incontri e mi spiega che esiste una sala per i colloqui dove puoi stare con i tuoi cari e abbracciarli e toccarli per non perdere il contatto con il mondo degli affetti. 
"Ci si tiene per mano, ci si guarda, si parla... ma non puoi fare altro", mi dice. "E io mi chiedo, come può una famiglia e una coppia restare unita, se in 10 anni non posso mai toccare la mia donna in modo più intimo?"
"Non esiste la possibilità di avere una stanza dove passare alcune ore da solo con la propria compagna?"
"Non in Italia. Qui la situazione è davvero migliorata rispetto ad altri carceri... qui non siamo separati da un vetro e possiamo prenderci per mano e sentire il calore della pelle e il profumo della voce... ma in altri posti non è così."
E qui interviene Carmelo e rievoca aneddoti di altre carceri... un angolo particolare di un cortile... un albero, dove nascondersi con la propria compagna e consumare un amplesso frettoloso, ma necessario. 
"Dovrebbero aiutare il detenuto a riabilitarsi in tutti i sensi e, sopratutto, a non perdere il mondo di affetti che ha lasciato fuori", ha aggiunto Massimiliano.
E Carmelo, in modo duro e pragmatico, ha risposto che molte cose non vanno, ma che lì dentro ci sta gente che ha ammazzato e venduto la morte, mica pezzi di pane, e che non bisogna mai dimenticare le vittime e le loro famiglie. 
Io ascoltavo il loro confronto e mi domandavo cosa potrei fare io se mi venisse negata l'affettività delle persone che amo. Mi chiedevo come si può privare un uomo della sua sessualità. Sono tutte domande retoriche. E spesso sul carcere si è sentito e letto di tutto. Forse ci si adatta e si cerca nei compagni un gesto e un'attenzione che non può arrivare da nessun altro. Tutte le istituzioni chiuse tendono a sviluppare un certo tipo di relazioni umane... però... ecco, mi chiedo cosa sia giusto fare per rispettare fino in fondo il detenuto.

Finita la lezione, abbiamo chiesto alla responsabile la possibilità di una giornata in più per un incontro autogestito, e lei, molto disponibile, ha voluto sapere il motivo della richiesta, i nominativi dei detenuti coinvolti nel progetto e ci ha pregato di non promettere mai niente prima di consultare loro. 
Ci sono dei protocolli e delle regole da seguire e noi, un po' imbarazzati, ci siamo scusati e le abbiamo chiesto di gestire lei la cosa e di decidere come e quando fare accadere il tutto. Per noi importa il risultato finale e non il modo come ci si arriva.

Prima di uscire dalla struttura ci siamo fermati davanti al distributore per consumare le cialde del caffè rimaste nella mia tasca. C'è freddo e siamo stanchi. Vogliamo un caffè lungo per scaldarci e tirarci un po' su. Mi avvicino alla macchinetta del caffè e scopriamo che non ci sono più bicchierini e palette.
Azz... voglia mortificata. E ora?

Andiamo via sconsolati, ci dividiamo il Bueno e ritorniamo verso casa. Ancora pioggia e freddo. Parliamo della lezione, dei progressi, delle motivazioni dei diversi alunni e ancora una volta penso alle parole di Massimiliano e Carmelo. 
Una polaroid chiara nella mia mente.

Ancora una volta mi sento in bilico su un'onda troppo grossa e impetuosa. 
Difficile stare in piedi e non cadere... difficile non finire sotto il pelo dell'acqua in tumulto. 

Mano nella mano. Per sempre. Io e te.

domenica 19 gennaio 2014

CYRANO HA UN BEL NASO!

















Come sempre, le foto, mi fanno capire che devo telefonare urgentemente a Dukan.
Ma ci tenevo a mettere sul blog gli scatti di Gianfranco Jeff Pisoni... il pubblico sembra tutto molto serio... e forse annoiato... eppure, giuro, abbiamo riso molto.

Notare il gene Deffenu... io e Grace con un bel bicchiere di cagnulari in mano. 

Ancora grazie a Lalla Careddu... ha saputo cogliere aspetti del mio lavoro davvero inattesi e, cosa ancora più preziosa, farmi sentire subito a mio agio. 

P.S. - bella la libraria Cyrano di Alghero, vero? Si legge, si gioca, ci si svaga e si beve dell'ottimo vino. Cosa potete desiderare di più?

venerdì 17 gennaio 2014

E NEANCHE LA SFIGA CI HA FERMATO!


A poco più di due ore dall'inizio della presentazione del mio libro nella libreria Cyrano di Alghero, cerco di non pensare troppo a come andrà l'incontro con il pubblico e il confronto con Lalla Careddu e Giuseppe Mussi. 
L'ultima presentazione l'ho fatta a Pozzomaggiore nel mese di novembre e quasi mi sembra strano presentarlo nella città dove vivo da 13 anni dopo così tanti mesi dalla sua uscita nelle librerie. 
Per logica, Alghero, sarebbe dovuta essere la scelta ottimale per inaugurare il mini-tour nelle librerie sarde e invece, per diverse situazioni e convergenze sfavorevoli, tutto questo non è stato possibile. 
Molto è dipeso dal mio lavoro: nei lunghi mesi estivi gestire il tempo diventa un'impresa davvero complicata e tutte le cose che ami fare si trasformano in mete impossibili da raggiungere. 
Lo so. Ci ho fatto il callo e non mi lamento. Prendo semplicemente atto che non si campa d'aria e, ahimè, neanche di parole e storie. 
La scrittura è una perversione, una mania, un hobby, un tic nervoso... chiamatelo come volete... ma a parte qualche piccola soddisfazione personale e molti rodimenti di fegato, concede ben poco al tuo anemico conto in banca.

In questi giorni ho riletto il libro per tornare dentro quelle atmosfere e mettere a fuoco le sensazioni che lo hanno fatto nascere. 
E quando capita trovo sempre un libro leggermente diverso dalla volta precedente, come se il testo si fosse modificato misteriosamente e avesse deciso da solo di mettere in risalto certe parti rispetto a delle altre. La comprensione delle cose avviene grazie alla sedimentazioni di tante osservazioni che ti arrivano dall'esterno. Anche per questo le presentazioni sono importanti, perché ti aiutano a definire meglio il senso di quello che hai creato nel silenzio della tua testa.

Ogni volta temo che la sala resti vuota e non ci sia nessuno a parte me, i librai e chi mi presenta. 
Ogni volta ho la paura folle di dire cose ovvie o di ripetere concetti già espressi in altre occasioni.
Ogni volta ho paura di non riuscire a guardare in faccia il pubblico o di sentirmi a disagio sulla sedia, dentro i miei pantaloni, nella stanza dove mi mettono... ecco perché, spesso, entro in un bar e mi faccio un Montenegro... mi facilita la parlantina e penso meno a quello che succederà. 
Per calmarmi ho messo su Purple Rain di Prince e ho iniziato a ballare e a cantare in cucina. I miei canarini mi guardavano, sconcertati dalle mie piroette, e Camillo, alla fine, si è unito ai coretti.
Mi sono vestito con la felpa nuova comprata per l'occasione, ho cercato di abbinare pantaloni e camicia e sono uscito di casa con la sensazione netta di aver dimenticato qualcosa. 

Arrivato in libreria alle 18:35... mi sono spaventato. C'era pochissima gente. Ho salutato e ho cercato di prendere contatto con la realtà. Lalla Careddu si è seduta e abbiamo iniziato a parlare e ad allentare la tensione (la mia) parlando di Patty Pravo e bellezza. Piano piano la sala si è animata e le sedie, all'improvviso, non erano più vuote. Wow... che figata!

Lalla comincia a parlare e io mi incanto... dice delle cose bellissime, delle cose che per quanto sono belle, precise, puntuali... mi illuminano i pensieri e mi fanno dire: "Azz... figo!"
La presentazione è stata, alla fine, una piacevole chiacchierata per raccontare non solo il libro, ma anche me, l'autore, e io, nel mio piccolo, ho cercato di rispondere in modo sincero e diretto alle domande che mi venivano rivolte con arguzia e intelligenza. Ho parlato della mia adolescenza, di mia madre e della mia famiglia stramba. Il pubblico ascoltava e in alcune occasioni ha persino interagito rendendo più viva e allegra la presentazione. 
Ho conosciuto dei lettori nuovi, ho scritto delle dediche e ho visto negli occhi di una ragazza dei lucciconi che non mi aspettavo.
"Cosa succede?", ho chiesto.
"Nulla... mi sono emozionata!", mi ha risposto.
"MI dispiace... non volevo..."
"No, va tutto bene. Stasera non inizio il libro perché sono troppo sconvolta... lo inizierò domani."
Ho sorriso, ho scritto la dedica e l'ho ringraziata per la presenza e la gentilezza.

Forse non ho detto solo stronzate... mi sono risposto mentre la guardavo andare via... forse qualcosa è arrivato. 
Poi un altro lettore mi ha chiesto la dedica e la serata è andata avanti.

Io non lo so quanto durerà. Forse questo sarà il primo e ultimo libro della mia vita... però, queste piccole emozioni, resteranno impresse nella mia memoria... e anche nel mio cuore, più malleabile di quanto non vada raccontando in giro.



Grazie alla libreria Cyrano.
Grazie alla stupenda Lalla Careddu.
Grazie a Giuseppe Mussi (la maledizione del giorno 17 ha colpito ancora!).
Grazie a Giovanni Gelsomino, Simone, Grace, Jeff, Gianmichele e Antonello (uno stalker davvero piacevole!).
Grazie a tutte le persone che sono venute alla presentazione e hanno reso il tutto più bello di quanto sia riuscito a immaginare mentre ballavo Prince in mutande.

Grazieeeeeeeeeeeee...

domenica 12 gennaio 2014

INCONTRO RAVVICINATO CON FRANCESCO ABATE


Ieri ho realizzato un piccolo sogno: ho conosciuto e ascoltato Francesco Abate durante la presentazione del suo ultimo romanzo UN POSTO ANCHE PER ME
Le coincidenze erano tutte favorevoli: il luogo, Alghero, la città dove vivo da 13 anni, e il giorno, sono potuto entrare al lavoro un'ora più tardi per una dimenticanza della mia Capa che si era dimenticata di avvisarmi che ieri si lavorava. 
Tutto contento mi sono preparato per raggiungere la libreria Cyrano in tempo per la presentazione e sono arrivato trafelato alle 18 in punto. Entro e trovo solo i due librai e una coppia di clienti che curiosa tra gli scaffali. 
Mi guardo intorno stupito e dico: "Ma insomma, arrivo sempre primo?"
Elia mi guarda e mi fa: "Primo per cosa?"
"Per la presentazione, no? Anche l'altra volta, a quella di Capitta, sono arrivato tra i primi..."
"Ma guarda che la presentazione di Abate non è mica qui" mi avvisa Elia.
"Come non è qui? E dov'è?"
"Alla biblioteca comunale in via Mazzini... si sono appena mossi... se ti sbrighi non ti perdi nulla..."
"Accidenti, sono passato qui prima di entrare al lavoro e invece, fuso come sono, ho sbagliato posto!"
Si vede che "un posto anche per me" non c'è mai... sono sempre, irrimediabilmente sfalsato rispetto alla realtà. 
Saluto gli amici librai e corro verso la biblioteca. Arrivo dopo 10 minuti e litigo con la porta d'ingresso. Una signora mi dice: "Bisogna tirare." 
Vero, c'è il cartello che dice proprio quello... tirare la porta. Però io mi bisticcio sempre con le cose e tiro sempre quando devo spingere e viceversa. Entro insieme alla signora e chiacchierando sulle scale scopro che si tratta di una volontaria della biblioteca. Grazie a lei raggiungo la sala dove si tiene la presentazione senza perdermi nell'edificio. Ovviamente la sala è già piena, io sono accaldato e non so dove mettermi. Poi, miracolo dei miracoli, tra tante teste vedo Lalla Careddu, Luisa Pala e Gianfranco Jeff Pisoni (autore delle bellissime foto che arricchiscono questo post) seduti in prima fila e mi fiondo da quella parte per occupare una delle due ultime sedie rimaste libere. Si sa che la prima fila è sempre una terra di nessuno dove i culetti non amano proprio stare. Neanche ci scappasse il rischio di una domanda da parte del tanto odiato professore di matematica! Allora sì che le prime file erano davvero trincee pericolose per le medie del quadrimestre. Saluto e abbraccio i miei amici e Luisa mi fa un gesto per dirmi... girati! Mi volto e Francesco Abate - cioè... non so se mi spiego - si è alzato e proteso verso di me per stringermi la mano. Imbarazzato gli porgo la mia mano e lui - imprevedibile e folle - accenna un baciamano e un piccolo inchino. Non vi dico come stavo... il fegato stava al posto del cuore che, a sua volta, si era spostato in zona milza che, ovviamente, mi era salita in gola... un rimescolamento totale insomma! 
Saluto anche Alessandro De Roma (un altro autore che seguo da tanti anni) e mi siedo buono buono in attesa che inizi la presentazione. 
Io il libro l'ho già letto in agosto (nel pieno del casino estivo... quando il lavoro diventa delirio e mi appaiono tutti i Santi in ordine strettamente alfabetico) e l'ho anche recensito in questo blog avariato. Premi QUI per leggere l'articolo. Ma nonostante conoscessi la storia e sapessi di cosa parlasse il romanzo, ascoltare le parole dell'autore mi ha fatto scoprire un altro libro ancora. O per meglio dire, mi ha aperto porte nuove, spiragli inattesi che mi spingono a tornare urgentemente tra quelle pagine per cogliere davvero tutto quello che durante la prima lettura mi era sfuggito. 
Il romanzo narra una storia vera, così vera che a volte può apparire inverosimile, al punto tale da spingere l'editor, e di conseguenza l'autore, a sacrificare una scena per evitare di calcare troppo la mano su un sentimentalismo eccessivo che avrebbe potuto indispettire il lettore. Ci pensate? Quell'episodio è veramente accaduto, eppure, non si può scrivere perché apparirebbe poco credibile. 
E poi dicono che la realtà non supera la fantasia... 
Ascoltare Abate mi ha fatto capire come si fa una presentazione: con leggerezza e gioia... perché, come dice lui, il momento più bello della vita di uno scrittore arriva quando incontri i lettori e il libro vive negli occhi e nelle domande della gente. Alessandro De Roma si è prestato al gioco delle parti  e ha saputo assecondare l'autore con arguzia e simpatia. Anche perché, a dirla tutta, Abate mica lo fermi così... :-)






Ieri sera si è parlato di tante cose, alcune più leggere, altre più dense e importanti.
Si è parlato del libro corale che uscirà a fine gennaio per la Einaudi. Un libro pensato e voluto da Marcello Fois per raccogliere fondi preziosi per aiutare la popolazione di Bitti colpita dall'alluvione. Sei autori sardi che con le loro parole tentano di creare qualcosa di concreto e tangibile per le persone sfortunate che lo Stato dimentica troppo facilmente. Marcello Fois, Francesco Abate, Alessandro De Roma, Paola Soriga, Michela Murgia e Salvatore Mannuzzu. Costa solo 6 euro e tutti i soldi andranno in beneficenza. Anche gli editor e le altre figure professionali della casa editrice hanno lavorato gratis, donando le loro ore di lavoro al progetto messo in moto da Marcello Fois. Dobbiamo comprare questo libro non solo per leggere 6 bellissimi racconti, ma anche per essere coinvolti attivamente in questo movimento d'azione letteraria. Perché il libro SEI PER LA SARDEGNA ti vuole dire proprio questo: SEI coinvolto anche tu!

Ci tengo a pubblicizzare anche un'altra iniziativa pensata da Francesco Abate per aiutare la famiglia del poliziotto che ha perso la vita mentre scortava con i colleghi un'ambulanza verso l'ospedale. Il ponte crollò proprio in quel fatidico momento e Luca Tanzi perse la vita, lasciando una giovane moglie e due figli. Domenica 19 gennaio, al Teatro Eliseo di Nuoro, alle ore 18:30, Abate presenterà una sua opera teatrale intitolata È COLPA TUA. Lo scopo è creare delle borse di studio per aiutare i figli di Luca a proseguire nel loro cammino di formazione. Potete prenotare i biglietti online sul sito di POINT TICKET e nel caso siate troppo lontani per andare allo spettacolo, ma volete donare lo stesso il prezzo del biglietto, fate così, comprate il biglietto online e poi scrivere un messaggio su Facebook a Francesco Abate, comunicandogli che avete preso il biglietto ma che, non potendoci andare, quel biglietto può essere rimesso in vendita. Diamoci una mossa e facciamo sentire il nostro calore ad Annalisa Tanzi, la moglie di Luca.

Finita la presentazione, mi sono fatto firmare la mia copia e dopo aver salutato tutti sono corso al lavoro. Ancora il cervello e il cuore saturi di emozioni e voglia di fare... perché non c'è niente di meglio che mescolarsi con gli umori del mondo per capire davvero chi siamo. E così sono entrato in servizio, ho indossato la mia divisa e ho iniziato ad accogliere i clienti. E mentre preparavo le bibite per un tavolo chi entra in ristorante? Indovinate? 
Francesco Abate, Alessandro Roma e gli amici della libreria Cyrano.
E sì... ieri ho avuto anche l'onore di servire la pizza al Grande Frisco. 

Triplo salto di gioia!!!

Ora devo solo rileggere il libro.
Perché non è mai troppo tardi per trovare un posto anche per me.
Piccolo, tutto mio, e dove le porte si aprono senza litigare con maniglie e pomelli.


mercoledì 8 gennaio 2014

L'UOMO SOTTO LA DIVISA A RIGHE


Ieri siamo tornati nel carcere di Nuchis dopo la pausa natalizia. Confesso di averci pensato spesso "ai miei ragazzi" durante le vacanze. 
Ho provato a immaginare il loro cenone di Natale e il loro Capodanno e, come promesso, ho brindato alla loro salute durante il pranzo del 25 con la mia famiglia e la sera del 31 con i miei colleghi. 
Siamo tornati con quattro bustoni di libri da donare alla biblioteca del carcere e con un rotolo di letterine scritte dagli alunni della scuola elementare dove insegnava Giovanni, il mio compagno d'avventura. Lettere semplici, colorate, ingenue nella loro spontaneità. Un bambino augurava ai detenuti un natale freddo, una cosa che può apparire crudele e fuori luogo se detta a un carcerato, ma con la sua frase ingenua intendeva semplicemente augurare delle feste "classiche"... con neve, abeti decorati e camini accesi. In carcere non ci sono camini e non ci sono molti abeti decorati (o almeno io non ne ho visto), ma ci sono molti presepi realizzati dai detenuti con una maestria davvero impressionante. Presepi che vengono poi donati a chiese e strutture di vario tipo. 
Siamo arrivati in aula passando attraverso le solite porte e i soliti posti di guardia: ripetendo i nostri nominativi a guardie che non ci conoscono nonostante il numero di volte che ci hanno visto passare lungo quei corridoi tutti uguali (ma quanti agenti lavorano in questo carcere?) e portandoci dietro le buste con i libri. 
Questa volta gli alunni tardano ad arrivare: forse la direzione si è dimentica del nostro arrivo il giorno dopo l'Epifania e cercano di recuperare tutti i detenuti nelle varie sezioni. E infatti i ragazzi ci confermano che non sapevano nulla della lezione e sono stati colti di sorpresa. Raffaele mangiava un panino con salame e maionese e io, che morivo di fame, gli ho detto: "E già potevi portarne uno anche a me!"
Massimiliano entra in aula e mi regala una Moleskine. Resto senza parole. Ringrazio e gli rivelò che me ne serviva proprio una per scrivere gli appunti del nuovo romanzo. 
Inizia la lezione. Massimiliano legge per primo quello che ha scritto durante le vacanze (nostre... non sue). Ascoltiamo il lungo capitolo - il secondo - che fa entrare in scena un nuovo personaggio. Pagine e pagine scritte con passione e una capacità superiore alla media. Raffaele, seduto vicino a me, mi sussurra all'orecchio: "Ma ha già scritto tutta la storia?"
Finito di leggere tutti i presenti dicono la loro sul pezzo e si commenta insieme. Si procede così con Carmelo, Raffaele, Mario e tutti gli alunni che hanno elaborato qualcosa di nuovo. Si discute, si affrontano snodi e punti cruciali della scena, si analizza il modo più efficace per rendere credibile un dialogo e un personaggio. 
Ci sono delle resistenze naturali, fisiologiche... c'è la tendenza a raccontare troppo senza andare davvero in profondità. I dialoghi sono complessi per loro, amano invece moltissimo le descrizioni. Con le descrizioni si sentono a casa e si esprimono con molta generosità. Troppa. Se possono metterci una parola in più ce la mettono invece di toglierla. Sono convinti che scrivere tante parole voglia dire scrivere figo. E invece bisogna scrivere le parole giuste, quelle utili, essenziali, tutto il resto si elimina, si sacrifica per dare un ritmo e un senso alla storia. 
Raffaele è forse il meno dotato tecnicamente, ma ha un istinto che gli fa quasi sempre centrare il punto: poche parole maledettamente efficaci. Unire questi talenti, queste urgenze, queste pulsioni creative è lo scopo del nostro essere qui. Esserci per dare un valore a quella bolla sottovuoto che è troppo spesso il carcere. 
A Nuchis sono fortunati. C'è una direttrice illuminata che sta portando avanti un lavoro incredibile per "aprire" il carcere e fare entrare il mondo di fuori nell'universo incredibile nascosto dietro le sbarre. 
C'è bisogno di condivisione, scambio, incontro di idee e sentimenti. 
"Ma perché tu non sei cambiato da quando sei entrato qui dentro?" mi ha chiesto Carmelo.
E certo che sono cambiato. Io lo so e lo sa qualsiasi persona-volontario-operatore che viva questa esperienza con il cuore e la mente aperti all'incontro.
Ho ascoltato le loro parole - sono espertissimi di leggi e procedure - e mi sono sentito un ignorante davanti alla mole di informazioni che mi sono piovute addosso. Massimiliano mi rivela di essere stato citato da Saviano sul libro "Zero zero zero" e di essere stato citato da altri 6 o 7 libri. 
"Lo so. Tu sei il Principe."
"Ah, sai tutto allora?" mi chiede.
"No, so solo questo. Non ho mai cercato niente su internet."
Mi confida di non aver letto il libro di Saviano e di non avere neppure nessuna curiosità di farlo. 
"La verità la conosco solo io e un giorno, chissà, mi piacerebbe scrivere un romanzo che non parli di me... ma del mondo che conosco. Semmai lo scriveremo insieme."
Scriverlo insieme? Ci penso un attimo e sorrido. Mi sembra un progetto più grande della mia capacità di proiezione.

Tornato a casa ho cercato per la prima volta qualche notizia sul Principe: trovare delle pagine di giornale che parlano di lui, vedere la sua foto segnaletica e leggere diversi passaggi della sua vita criminale mi lascia basito. Non riesco a sovrapporre l'immagine del Massimiliano che mi ha regalato la Moleskine, con il più grande trafficante di droga. E così mi capita con Carmelo: trovo persino una registrazione audio originale del processo su Radio Radicale e riesco ad ascoltare la sua voce inconfondibile. La voce di colui che mi ha deliziato con i suoi cannoli il 23 dicembre. Trovo anche qualcosa su Raffaele e scopro che fa parte di una famiglia criminale molto conosciuta a Quarto Oggiaro. Leggo di morti violente e lotte tra bande, e anche questa volta penso al viso del ragazzo che mi ha chiesto di correggere la favola che ha scritto per la figlia. Chiudo tutto e cerco di pensare ad altro. 
Mi è impossibile raccontare tutte le sfumature di quello che sento, vivo, penso in carcere. Mi rendo conto di avere davanti degli uomini che cercano di evolversi e di crescere. Uomini che temono il futuro e bruciano di desiderio e di paura. Perché la libertà è bella... ma pericolosa e scivolosa. Pensi di averla tra le mani e poi ti scorre via tra le dita... troppo rapida e tagliente per non ferirti. 
Mi sono affezionato a questi uomini e non riesco a essere obiettivo. Dovrei pensare al male che hanno fatto, alle vittime, al dolore... e invece penso soltanto alla lezione e al progetto da portare avanti. E credo che questo sia il segreto per andare avanti: non giudicare il passato e crescere insieme senza barriere e pregiudizi verso il futuro che si avvicina. 
Oggi ho ripreso a scrivere il mio nuovo romanzo con una voglia e una determinazione maggiore di ieri. 
Ho una Moleskine nuova da inaugurare e tante idee da concretizzare... la sfida continua.

mercoledì 1 gennaio 2014

QUELLO CHE NON SI DICE


Non si può dire tutto quello che ti passa per la testa; non si può fare perché rischieresti di aprire delle porte che è sempre meglio lasciare chiuse. Le mie porte non sono aperte o chiuse, le mie porte sono semplicemente socchiuse. Dalla fessura passa una lama di luce che si allunga come un sentiero luminoso su un pavimento scuro, pieno di briciole. Io cerco di raccoglierle, di mettere ordine, ma le briciole si moltiplicano davanti ai miei occhi e io non posso fare altro che arrendermi. 
Inutile cercare un pezzo di pane per riempire il vuoto delle tre del mattino. Inutile ignorare i botti nel cielo e gli schiamazzi della gente che passa sotto la finestra. 
Io sono contorto, sfuggevole, fondamentalmente un infelice cronico: ho perso il sentiero della gioia da molto tempo e arranco in una vita che non mi piace più. 
Questa è la verità. Forse una verità condivisa da molte persone.
La mia maschera allegra perde pezzi e sempre più spesso il nero viene fuori, sbircia il mondo da dietro un sorriso tirato. Mi spaventano molte cose e guardandomi intorno ho l'impressione di non farcela... di non avere le forze e l'inventiva per salvarmi la pelle.
Ho sperato nella scrittura. Ho pubblicato un libro... eppure mi sento vuoto lo stesso. Anzi, peggio... mi vivo come uno scrittore mediocre e mi perdo tra le pagine bianche senza osare nuove storie. 
Ho fatto un altro buco nell'acqua. 
Ho pensato che potesse essere la mia salvezza... la mia porta spalancata sul mondo e invece... ho solo chiuso qualche battente e permesso al buio di invadere le mie stanze.
C'è una storia scritta nei geni e spesso mi chiedo quale condanna penda sulla mia povera stirpe. 

Ieri notte ho pianto come un idiota.
Duro da dire... da scrivere. Me ne pentirò sicuramente... già lo so.
Ma sono stanco di facciate malmesse. 
Stanco di fingere.
Il mio inizio anno è stato questo... crudo ed essenziale... una stanza piena di briciole e nessun passerotto sul filo del bucato che sentisse la voglia vera di un po' di musica.

Le note taciono e il cuscino ascolta i miei sogni turbolenti.

Buon anno... gente.