giovedì 26 luglio 2012

GIULIETTA PREGA SENZA NOME di ELENA TORRESANI


Ci sono dei libri che capitano nella tua vita come un dono.
Dei libri che come inizi a leggerli ancora non sai quanto entreranno in profondità dentro il tuo cuore.
Quanto ti emozioneranno, parleranno, comunicheranno con la parte più profonda del tuo spirito inquieto. E il miracolo è ancora più sorprendente quando il libro si traveste con un tono leggero e ironico, sebbene l'incipit non lasci nessun spazio alla moderazione.
"Mi chiamo Giulietta, e domani mattina morirò. Ho trascorso buona parte della mia vita inseguendo l'amore: ho cominciato a vivere davvero solo quando ho smesso di farlo.  Non credete a tutto quello che vi dicono: spesso ciò che conta di più ha un nome che non conoscete ancora."
Mi era già capitato l'anno scorso con lo splendido romanzo di Francesco Abate, "Chiedo scusa", che raccontava con tono lieve la storia di un doloroso e complicato trapianto di fegato, e ora ricapita con Elena Torresani e il suo sorprendente "Giulietta prega senza nome".
Un romanzo che riesce a toccare corde intime e segrete con una leggerezza davvero inusuale.
Mi sono sentito spesso vicino ai pensieri e alle tenere stranezze della protagonista del libro.
Tra le righe c'è molto di noi.
Molto di quello che vogliamo vedere e moltissimo di quello che, testardi, ci ostiniamo a nascondere sotto un bel cerone di facciata.
Qui non ci sono trucchi e maschere.
Quando arriva il momento di confrontarsi con le cose importanti della vita, ci rendiamo conto che perdiamo davvero troppo tempo dietro cose inutili. Un bla-bla senza senso e importanza.
"E' come abbiamo vissuto il tempo a nostra disposizione che fa la differenza tra il morire bene o il morir male; e il numero di sogni che abbiamo lasciato marcire nel cassetto restando fermi a fissare il soffitto, impegnati a pagar bollette o a ricordare il motivo per cui abbiamo litigato con qualcuno. Le piaghe da decubito che fanno più male non sono quelle della carne, ma quelle di cui abbiamo lasciato ammalare i nostri sogni."

Ho avuto il piacere di intervistare l'autrice dopo la lettura del libro.
Ecco il risultato del nostro scambio umano e professionale.



Com’è nata l’idea del romanzo?
Il romanzo è nato da una promessa: Giulietta mi ha chiesto di raccontare la sua storia, e l’ho fatto.
Una storia scritta in prima persona crea subito empatia con il lettore. Un filo di condivisione e auto-rappresentazione che può creare qualche fraintendimento nella percezione esatta del testo. Ho letto in un articolo che il romanzo racconta una storia vera e che per te era molto importante scriverlo e farlo leggere. Vuoi dirci qualcosa di più o sono indiscreto?
Dopo il caso Englaro, e la lotta aperta e coraggiosa del padre di Eluana, mi sono trovata coinvolta in prima persona in una storia di privazione di quello che reputo un diritto assoluto: scegliere come morire, quanto soffrire e come gestire il proprio fine vita.
Non potevo tacere, non era giusto: per Giulietta, e per tutti noi. Perché sì, il fine vita è una faccenda che – ci piaccia o no – prima o poi riguarda tutti.
Credi che la tua esperienza come blogger abbia influenzato la tua scrittura? In diversi passaggi ho sentito molto forte il ritmo, lo sguardo e le sfumature tipiche del linguaggio usato dai blogger. E’ un’impressione sbagliata la mia o c’è qualcosa che unisce le due forme di espressione?
Se esistesse una metrica dei capitoli, i miei sarebbero post. Scrivo libri come se scrivessi il blog di una storia. Ormai quasi vivo la vita come se fosse un blog: con quelle pause, quell’intensità, quelle riflessioni concentrate e a tratti assolute. Quando vedo, ascolto e provo cose di cui so che scriverò, la mia narrazione emotiva già si incanala su quel ritmo: deformazione pericolosissima, soprattutto quando si entra in contatto con l’amore.
Giulietta sembra condividere alcune cose con te. La scrittura, la creazione di un blog. L’attenzione per il mondo femminile. C’è qualcosa di te in lei o è solo astrazione o pura coincidenza?
C’è moltissimo di me in lei: la necessità di dover camuffare la vera biografia di Giulietta per non palesarne eccessivamente l’identità reale, mi ha portato a mescolare molte vite tutte insieme, compresa la mia.

L’uso dell’ironia. Ecco un particolare che mi ha colpito moltissimo. Usare il sorriso, a volte anche crudele e beffardo, per raccontare la vita in tutte le sue sfumature. E la sincerità. Ad esempio quando si parla di sesso o lo si descrive. Mai stupido, mai convenzionale. Quanto hai lavorato su questi aspetti per rendere meno “pesante” una storia forte e intensa?
Questi aspetti sono me, è quello che io faccio abitualmente nella vita di ogni giorno: sotto questo punto di vista non è stato un gran lavoro, è una sorta di attitudine. Chi mi segue suFacebook, ad esempio, sa bene che lo sguardo pungente e sarcastico sono un’arma che uso spesso: il sorriso, per crudo che sia, è un’arma di sopravvivenza. Anche quando è privo di illusioni e d’incanto.
La tua passione quando nasce e dove e quando ami scrivere?
La mia passione per la scrittura è nata durante l’adolescenza, con la Smemoranda. Per 12 anni, ogni giorno, mi sono raccontata su quelle pagine. Quello che sentivo era troppo per star tutto chiuso dentro di me: mi salvavo la vita con un’emorragia d’inchiostro.
Per noi nativi cartacei, la Smemoranda può essere considerata un antenato del blog.
Ho trovato molto belle le parti che raccontano i viaggi di Giulietta. L’Africa, il nord estremo, le corsie degli ospedali. C’è come la sensazione che tutto quello che è stato raccontato prima torni a legarsi e ad armonizzare le informazioni precedenti. Hai usato l’immaginazione o ti sei documentata?
Ho poca, pochissima immaginazione, e cerco di non parlare mai di ciò che non conosco.Se non sono stata in un luogo, prima di scriverne mi documento, assorbo i racconti di chi c’è stato e cerco di sentirne le energie.
La prova più difficile per me è stata quella di raccontare – da sana – la vita di una morente, il suo punto di vista e le sue emozioni. Era sempre complicato mettersi nello stato d’animo adatto per sedersi di fronte alla tastiera e scrivere di un conto alla rovescia senza possibilità di scampo.
Essere donna oggi cosa significa per te?
Riuscire ad uscire dalle dinamiche di pensiero maschili che abbiamo introiettato nell’ultimo paio di millenni, dando forza al potere femminile assoluto, che è quello di nascita e rinascita, creazione, condivisione e comunicazione.
Eutanasia. Una parola grande che spaventa e intimorisce. Il tuo libro prende una posizione netta. Vuoi dirci qualcosa di più?
Nessuno dovrebbe permettersi di mettere bocca nei nostri letti, d’amore o di morte che siano. Nessuno dovrebbe avere il diritto di dirci chi amare e come morire. Ogni adulto capace di intendere e di volere dovrebbe poter scegliere, essere informato, e godere di un diritto che io giudico “naturale”. Purtroppo il mio pensiero è ucciso da troppi condizionali.

Il tuo romanzo è uscito prima con IL MIO LIBRO. Un testo auto pubblicato che solo ora è arrivato nelle librerie grazie a VOLTALACARTA. Ci racconti com’è nata l’idea di pubblicarlo usando questo espediente e com’è arrivato nelle mani degli editordella casa editrice che ti ha scelto?
Inizialmente ho proposto Giulietta a diversi editori, ma è stato rifiutato. Visto che questo libro era una promessa, ho deciso di auto pubblicarlo su “il mio libro”. Tutti mi avevano consigliato di non farlo: l’auto pubblicazione è vista come una sorta di vergogna senza ritorno, che ti condanna all’esilio imperituro dal mercato editoriale. Io me ne sono fregata: una promessa è una promessa.
Lì mi hanno trovato Luana e Silvia di Voltalacarta: si sono innamorate di Giulietta, e si sono lanciate nell’impresa kamikaze di pubblicare un romanzo che era già sul mercato delbook-on-demand da due anni.
Ho visto che la copertina usata da Voltalacarta è la stessa usata per l’autopubblicazione. Ci racconti come nasce l’idea della cover e come l’hai realizzata?
Volevo una copertina che raccontasse del viaggio, della vita, del bagaglio che ognuno di noi si porta dietro. Ma anche delle attese, delle felicità mancate, delle aspettative sociali deluse. Credo che la copertina di Giulietta racchiuda tutto questo: grazie a MonicaPapagna, la fotografa che si è occupata anche della copertina del mio primo libro, credo che il risultato sia davvero meraviglioso.

La tua prima memoria culturale?
La prima che conta è sicuramente legata alla mia mano che prende un libro con la copertina completamente gialla dagli scaffali della biblioteca scolastica: era “Se il sole muore” di Oriana Fallaci.
Biografia in una playlist?
Franco Battiato con “La voce del padrone” quando ero piccola e mia madre puliva casa cantando a squarciagola.
Gli U2 con “The Joshua Tree” e “Rattle and Hum” nella prima adolescenza.
Tutta la musica tamarra degli anni ’80 e primi ’90 subito a seguire (Duran Duran compresi)
De Andrè, i Subsonica e i Depeche Mode invece rappresentano i miei trent’anni, la maturità felice.
In questo periodo mi sto ammazzando l’anima coi Massive Attack e i Portishead.
Cosa stai leggendo in questo momento?
“Elogio dell’imperfezione” di Rita Levi Montalcini. Devo scrivere un pezzo su di lei e mi sto documentando.
Mai compiuto illegalità nel nome della cultura?
Sì, sorridere e ringraziare amministratori e politici con cui normalmente non dividerei un piatto di pasta.
Feticismi tecnologici?
Sono tecnolesa: adoro la tecnologia ma non ci capisco nulla. La compro e – per pigrizia e inettitudine - la uso a un centesimo delle sue potenzialità.
Cosa odi e ami del web?
Sono un’iperconnessa, amo lo sharing, i feed-back che sbugiardano, i pochi confini.
Quello che odio del web non è niente di specifico del web, ma è qualcosa che arriva drittodritto dall’off-line: l’eccesso di populismo, ad esempio.
Un gesto politico importante?
Informarsi, prima di tutto.
E poi alzare il culo dal divano e lottare per qualcosa.
Non basta postare un link o lamentarsi davanti alla macchinetta del caffè.
La frase scusa preferita?
Non è una scusa, è la verità: “Perdonami, il mio cervello è un colabrodo.”
Sono in overload costante.
A 13 anni cosa volevi fare?
La manager (dio mio, non avevo proprio capito una cippa)
Hai per un giorno il potere assoluto: la prima cosa che fai?
Ridistribuire la ricchezza e creare un sistema economico che garantisca equità.
Ma anche liberare gli esseri umani dai peli superflui e dagli odori corporei molesti.
Se la tua vita fosse un film chi sarebbe il regista?
Un borderline tra Bertolucci e Burton.
Come spiegheresti a un bambino la parola: felicità?
Non spiegargliela potrebbe essere il vero regalo: ho passato metà della vita a cercare di capire come mai giudicassi mediocre quello che secondo gli altri avrebbe dovuto farmi felice, scervellandomi per individuare cosa non andasse in me.
Cosa conta più dell’amore?
Realizzare i propri sogni e i propri talenti (che poi è anche questa una forma d’amore)
La tua casa brucia, cosa salvi?
Smartphone e caricabatterie.
Se dico Italia… cos’è la prima cosa che ti viene in mente?
Vergogna
La volta che hai riso di più?
La volta in cui si ride di più è sempre quella in cui ci si bagna le mutande. Ma non mi è ancora successo.
Una cosa che non hai mai capito della gente?
Perché ad un certo punto non si stufa di essere infelice.
Una cosa che volevi e non hai avuto?
Un’eredità.
Un consiglio che non hai dimenticato?
“Con quello non ci vuole un preservativo: ce ne vogliono sei” (mia madre)
Descriviti con cinque parole.
Non sono capace.
Cosa guardi in tv e cosa odi della tv?
Guardo quasi esclusivamente canali all news. Da quando hanno chiuso Current TV trovo inguardabile quasi tutto il resto.

Una frase che ti rappresenti?
È di Baricco: “Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.
Quanto conta il sesso nella vita?
Sempre di più, ogni giorno che passa.
Diventa una connessione con l’altro di un’intensità inimmaginabile fino a qualche anno fa.

Il senso più importante
L’olfatto. Ci sono odori che per me rappresentano l’estasi totale. Quello del corpo che desidero e quello del piatto che amo, ad esempio.
Il film animato e la serie tv più amati da bambino?
Heidi, me l’ascoltavo perfino su musicassetta.
Cosa c’è sempre nel tuo frigo?
Da quando sono in Dukan ho un frigorifero tristissimo, non farmene parlare.
Una cosa stupida che non riesci a smettere di fare
Desiderare morbosamente una sigaretta.
Un ritornello che non riesci a toglierti dalla testa.
“è meglio prenderlo che prendersela”
(ma me lo dico solo nella testa, perché mi devo ricordare di essere una signora)
Icone moderne?
Gli occupier.
Il vero lusso è?
Prendere coscienza che la vita è qualcosa di più che mangiare, defecare, pagare le tasse e riprodursi. E agire di conseguenza.
Progetti futuri?
Godermi mio nipote, finire i due libri che sto scrivendo, fare molto l’amore.

Chi inviteresti alla cena dei tuoi sogni? Tre nomi.
Marco Travaglio, Roberto Saviano e Davide Scalenghe.
Male assortiti tra di loro, mi rendo conto.
C’è l’opzione “tre cene singole”?
Se alzi gli occhi al cielo cosa pensi?
Al viaggio. A tutte le persone che non ho ancora incontrato. A tutte le storie che non ho ancora raccontato. E all’Uomo Disegnato.

Se volete conoscere Elena di persona non mancate all'appuntamento di venerdì 27 luglio ai giardini pubblici di Sassari alle ore 19.00. Presenterà il suo romanzo all'interno della manifestazione “TuttiIDIRITTI. Italia, un Paese civile?” Elena Torresani presenta “Giulietta prega senza nome” (Voltalacarta, 2012). Interverrà la dott.sa Chiara Musio, Coordinatrice Reg. Sardegna della ONLUS SICP (Società Italiana di Cure Palliative)

Grazie ancora a Elena per la disponibilità e non perdete d'occhio le iniziative della casa editrice VOLTALACARTA.

Copertina: 9
Trama: 9
Stile: 10
Personaggi: 9

martedì 24 luglio 2012

LA FORZA DEL MALE


Oggi al lavoro è capitato qualcosa che mi ha scosso.
Stavamo pulendo la sala prima del servizio con i colleghi.
Io ramazzavo il pavimento sporcato dall'assalto mattutino.
Verso le 19 entra un uomo alto e robusto.
Capelli neri e ricci, pelle olivastra, sguardo indecifrabile.
Si avvicina verso di me e inizia a parlare in modo strano.
Sento subito il puzzo di vino nell'alito.
Mi mostra un documento e blatera qualcosa sulla questura.
Non capisco cosa cerchi e cosa voglia da noi.
Cerco di capire.
Mi risponde con frasi senza senso.
"Non sono uno scemo di guerra io...io sono bravo e amici tutti..."
Un bla-bla incomprensibile.
Interviene un mio collega e cerca di spiegargli come raggiungere la questura.
Passa qualche minuto di una conversazione assurda tra sordi e il tipo chiede una birra.
Ecco a cosa mirava.
Gli spieghiamo che non siamo ancora aperti e che può trovare un bar più avanti lungo la via.
Nulla.
Insiste.
Vuole la birra.
Parla e straparla e non molla la presa.
Interviene il capo-servizio.
La situazione inizia a farsi complicata.
Il tipo non molla.
Io riprendo a pulire.
Il tempo corre e dobbiamo ancora finire di sistemare la sala prima di mangiare una cosa al volo e aprire il ristorante.
A un certo punto il tipo, di evidente nazionalità marocchina, punta  deciso verso di me e cerca di strapparmi dalle mani la scopa.
NON CI HO VISTO PIU'!
Puoi dire e fare di tutto, ma non puoi toccarmi il bastone mentre sto scopando!
CHIARO?
Sono diventato una furia.
Gli ho detto di tutto.
Riassumendo il concetto della mia sfuriata: "Hai rotto i coglioni pezzo di stronzo...vedi di andartene che qui stiamo lavorando!"
Un collega, spaventato ha chiamato la Polizia.
Il tipo mi diceva..."Tu monello..." e si toglieva una protesi dentaria mostrandola a tutti. 
Io isterico gli dicevo di tutto.
Alla fine è intervenuto il boss e spingendolo verso la porta è riuscito a buttarlo fuori dal locale.
Ero pronto a spaccargli il bastone in testa.
Il tipo si è rifugiato nel negozio di telefonia mobile vicino al ristorante.
Qui è anche caduto rischiando di spaccare il vetro del bancone.
Buttato fuori dal personale del centro Tim si infila in un negozio di abbigliamento poco più avanti.
Corriamo a vedere se la commessa si trovi da sola dentro il negozio.
Per fortuna c'è anche il propietario.
Dopo 20 minuti arrivano i carabinieri.
Prese le generalità del molestatore seriale si scopre che è in libera uscita dal carcere dove sconta una pena per omicidio.
Azz!
Viene fatto salire sulla gazzella (si chiama così?) e viene portato via.

Il nervosismo mi è rimasto sulla pelle per un'ora buona.
Mi sono stupito della mia reazione.
In un nano-secondo sono passato dalla calma più assoluta alla rabbia più cieca.
E' stato un atteggiamento di difesa...ma mi ha comunque spaventato.

P.S.- sono riuscito a finire la pulizia della sala in orario e pazienza se non sono riuscito a bermi un caffè prima del servizio. Forse non era un'idea felice per i miei nervi sensibili.

P.S. 2 - la nazionalità non conta. Un rompiballe resta tale qualsiasi passaporto custodisca dentro il portafoglio.

domenica 22 luglio 2012

COME SI CAMBIA








Un altro compleanno.
Un altro anno che vola via.
Un'altra ruga sul viso.
Un altro pelo bianco nel pizzetto.
Un'altra giornata di lavoro.

Niente torta e candeline.
Ho sempre odiato le feste e quel sentirsi al centro dell'attenzione che mette sempre un po' di ansia addosso.
Vorrei qualcosa che non posso avere.
Inutile, quindi, soffiare sulle candeline per esprimere un desiderio impossibile.

Negli ultimi due giorni sono capitati in ristorante un insegnante dell'istituto tecnico dove studiavo a Sassari e un ragazzo che ha frequentato lo stesso istituto.
Mi hanno riconosciuto loro.
Mi hanno fermato, chiesto conferma e abbiamo parlato un po'.
Che strana sensazione quando ti dicono che sei sempre uguale e tu, invece, ti senti tutto meno che UGUALE al tuo IO quindicenne.
Quello è letteralmente un altro Carlo.
Lontano anni luce da quello che sono oggi.
E le rughe, in fondo, cosa sono?
Sono dei piccoli canyon sulla pelle.

Buona giornata.

giovedì 19 luglio 2012

FERRO E AMORE


Ieri sono andato a Cagliari a vedere il concerto di Tiziano Ferro insieme a un gruppo di amici.
Abbiamo comprato il biglietto e pagato un pullman organizzato per viaggiare con comodità e non stressarci dopo il concerto con molte ore di guida.
Il costo del pullman era di 25 euro a testa.
Appuntamento alle 16 sotto un sole ammazza mosche.
Il pullman arriva con mezz'ora di ritardo.
Appena appare, svoltando l'angolo dell'istituto industriale, penso che sia uno scherzo visivo dovuto alla calura.
Sembra uscito dritto dritto dagli anni '70!
Saliamo dopo l'appello per verificare che tutti i partecipanti al tour siano presenti.
Si parte.
Il viaggio scorre lento e piacevole.
Ancora non sappiamo cosa ci aspetta.
Il pullman è così lento e traballante che in un rettilineo un gregge di pecore ci supera.
Arrivati in prossimità di Cagliari vedo sfilare alla mia destra il cartello con su scritto "Fiera- Stadio".
L'autista non le vede e procede per la sua strada che, ahimè, si rivelerà sbagliata.
Nel giro di pochi minuti scopriamo che l'autista non sa dove deve andare e così, tra una rivolta popolare di proporzioni bibliche e una risata generale, ci "godiamo" un tour per le strade della città senza capire se arriveremo in tempo per il concerto.
L'autista chiede persino aiuto a un signore che corre per strada.
Siamo messi bene!

Arriviamo a destinazione dopo 4 ore di viaggio.
Io come scendo dal pullman mi infilo in una macchia di cespugli per pisciare.
Ero al limite delle capacità di tenuta della mia vescica.
Entriamo nello spazio fiera dove si terrà il concerto e io riesco a far passare acqua e bibite evitando il controllo della sicurezza.
Ci scegliamo un punto nel parterre in attesa del concerto e scherziamo tra di noi.
Lo spettacolo inizia in perfetto orario.
Tutto bene.
Vedo da Dio.
Peccato che appena si spengono le luci dal nulla spuntino fuori Barbie e Ken (stavano seduti per terra) e come per incanto (vedi alla voce: sfiga!) non vedo più niente.
Anzi, vedo in base a quanto si agita Barbie con la sua coda davanti a me, ballando con il suo moroso plastificato.
E' come avere una Cuccarini tarantolata a pochi centimetri dal naso.
La tipa ci prende a schiaffi con la sua coda e ogni tanto sgambetta e flirta con Ken come se noi, dietro, non esistessimo.
Per non parlare del brutto vizio della gente di riprendere lo show con telefonini e i-phone.
I primi dieci minuti ho visto il concerto solo attraverso gli schermi degli apparecchi elettronici puntati sul palco.
mah!
La Barbie è riuscita a scassarci le palle per metà concerto, alla fine, esasperati, abbiamo reagito. Un mio amico gli ha dato "casualmente" una testata (stufo di sputare i suoi capelli), un altro gli ha detto chiaramente che non era la sola in quel piccolo spazio a doversi muovere e io, per non perdere tempo in sofismi inutili, ho sfondato di lato e mi ci sono messo davanti.
Meraviglia!
Finalmente tornavo a vedere il palco eTiziano che cantava.
Ho saputo in seguito dai miei amici che Barbie si è molto allarmata per il mio gesto inatteso, arrivando a temere che fossi armato.
ahahahah...
Armato Io?
Parla lei con quella cazzo di coda?
Nel giro di pochi minuti si sono spostati per la felicità di una ventina di persone.
Me compreso.
Alla fine del concerto siamo ritornati al pullman per il viaggio di rientro.
Altre 3 ore e mezza da incubo.
Speravo di dormire e invece, due cocorite quindicenni, hanno parlato per tutto il viaggio, proprio dietro di me.
Incubo.
Sono arrivato a casa alle 4 e mezza del mattino.
Tre ore di sonno e via al lavoro.

P.S.- il concerto com'era?
Ah, non l'ho detto?
Grandioso.
Tiziano si è rivelato un artista sensibile, poliedrico e carismatico.
Grande concerto nonostante autisti senza bussola e Barbie ballerine.
Incredibili gli effetti visivi sul palco.
Perfetta la band.
Insuperabili le canzoni.

E per finire la bellissima notizia della liberazione di Rossella Urru...annunciata dallo stesso Tiziano dal palco.

domenica 15 luglio 2012

GUIDA RAPIDA AGLI ADDII di ANNE TYLER


Si può comprare un libro soltato per il suo titolo?
Certo che si può.
Io l'ho fatto!
Di Anne Tyler non avevo mai letto niente.
Mi sono avvicinato al testo con una certa dose di curiosità.
Scoprire che l'autrice è nata nel 1941 mi ha sorpreso e divertito.
In fondo non è mai troppo tardi per ascoltare una nuova voce della letteratura mondiale.
L'incipit è fulminante.
"La cosa più sorprendente, quando mia moglie tornava dal regno dei morti, era la reazione degli altri."
Il romanzo racconta la storia di Aaron che cerca di sopravivvere alla morte improvvisa della moglie Dorothy.
Un albero che svetta nel loro giardino precipita sopra la casa e uccide la donna appena tornata dal lavoro.
Da qui parte l'elaborazione del lutto.
Tra amici e colleghi che cercano di distrarre Aaron con inviti a cena e uscite in compagnia, e i vicini di casa che lo sommergono di cibi cotti e attenzioni. l'uomo si barcamena come può per non soccombere al dolore.
Un dolore per una donna imperfetta.
Complessa e sfuggevole.
Una donna che ama nonostante tutti i limiti del loro menage matrimoniale.
Aaron fugge dalla sorella quando capisce di non riuscire più a vivere nella casa della tragedia.
Lavora con lei in una piccola casa editrice a gestione famigliare dove pubblicano a pagamento romanzi di autori vanesi e prepotenti, e dove cercano di ritagliarsi una fetta di mercato con una serie infinita di guide rapide che aspirano a risolvere qualsiasi tipo di problema (medico, pratico, psicologico).
Tutto sembra procedere seguendo il ritmo lento e monotono di questa sofferta risalita verso la normalità, quando la ricomparsa di Dorothy rimette tutto in gioco.
Sentimenti, convinzioni e progetti futuri.

Lo stile della Tyler è semplice, lineare, intenso, garbato.
Ha il tocco lieve di chi sa cosa svelare e cosa suggerire con leggere pennellate.
Mi ha sorpreso il voto che il critico del Corriere della Sera ha assegnato al libro della Tyler.
Dare 4 a un romanzo così particolare, lieve, ironico e profondo senza essere mai saccente, mi è sembrato un vero azzardo.

Copertina e titolo: 10
Storia: 8 (non succede quasi nulla...ma il bello è proprio questo...abbandonarsi alla corrente senza chiedersi dove essa ci condurrà!).
Trama: 8 (bellissima la scena della caduta dell'albero e tutte le discussioni tecniche intorno alla pubblicazione della prossima guida rapida).
Stile: 10
Personaggi: 10